La nostra società si è dovuta confrontare negli ultimi 50 anni con importanti cambiamenti culturali, economici e sociali, che hanno determinato profonde modificazioni nell' attribuzione di un significato alla nostra stessa vita.
L'uomo colpevole sembra avere lasciato il posto all'uomo tragico: nel fare rientro a casa ci chiudiamo la porta alle spalle e con un sospiro di sollievo pensiamo: anche oggi mi è andata bene, sono tornato a casa sano e salvo.
Questa visione tragica della vita ha preso il sopravvento sull'uomo colpevole, che nel rientrare a casa, invece, si interrogava su quanto avesse fatto nella giornata appena conclusa e su cosa di meglio , o di più, avrebbe potuto fare ( con i colleghi di lavoro, con gli amici, con lo sconosciuto in difficoltà incontrato poco prima di fronte al portone).
L'impegno, dunque, sembra essere stato sostituito dal disimpegno, da un approccio alla vita più centrato sui nostri individuali bisogni, o su quelli della nostra famiglia, che sentiamo di dover proteggere e tutelare ( il che è del tutto comprensibile) anche a scapito dei bisogni di chi ci circonda.
Il mondo esterno non suscita più curiosità, né interesse né tantomeno il desiderio di impegnarsi per modificarne almeno una piccola parte: è percepito come qualcosa dal quale proteggersi in quanto incute timore e il nostro disimpegno, assumendo una valenza protettiva, in qualche modo ci immunizza dai sensi di colpa, che hanno caratterizzato altri periodi storici della nostra società.
Di fronte a quello che appare un cambiamento ormai oggettivo, del quale non possiamo fare altro che prenderne atto, e tralasciando riflessioni socio-antropologiche non di mia competenza, mi ritrovo spesso a riflettere su aspetti maggiormente legati ai modelli educativi che inevitabilmente forniamo alle nuove generazioni, considerando che un valido processo di individuazione ( in altre parole la costruzione di una tua specifica identità), non può prescindere dall'avere contestualmente sperimentato una piena appartenenza al mondo nel quale viviamo.
Le due cose vanno necessariamente di pari passo, e senza l'appartenenza i processi di individuazione lasceranno spazio non tanto alla maturazione del singolo individuo ma semmai alla nascita di un nuovo individualismo, che per quanto possa avere una valenza protettiva inevitabilmente limiterà la nostra dimensione esperienziale, il nostro bagaglio di conoscenze, all'interno di una bolla che ci rassicura ma che rischia di condurci ad una vita asfittica e forse anche poco “vissuta”.
Cristiano Ceccarelli
qui per modificare.
L'uomo colpevole sembra avere lasciato il posto all'uomo tragico: nel fare rientro a casa ci chiudiamo la porta alle spalle e con un sospiro di sollievo pensiamo: anche oggi mi è andata bene, sono tornato a casa sano e salvo.
Questa visione tragica della vita ha preso il sopravvento sull'uomo colpevole, che nel rientrare a casa, invece, si interrogava su quanto avesse fatto nella giornata appena conclusa e su cosa di meglio , o di più, avrebbe potuto fare ( con i colleghi di lavoro, con gli amici, con lo sconosciuto in difficoltà incontrato poco prima di fronte al portone).
L'impegno, dunque, sembra essere stato sostituito dal disimpegno, da un approccio alla vita più centrato sui nostri individuali bisogni, o su quelli della nostra famiglia, che sentiamo di dover proteggere e tutelare ( il che è del tutto comprensibile) anche a scapito dei bisogni di chi ci circonda.
Il mondo esterno non suscita più curiosità, né interesse né tantomeno il desiderio di impegnarsi per modificarne almeno una piccola parte: è percepito come qualcosa dal quale proteggersi in quanto incute timore e il nostro disimpegno, assumendo una valenza protettiva, in qualche modo ci immunizza dai sensi di colpa, che hanno caratterizzato altri periodi storici della nostra società.
Di fronte a quello che appare un cambiamento ormai oggettivo, del quale non possiamo fare altro che prenderne atto, e tralasciando riflessioni socio-antropologiche non di mia competenza, mi ritrovo spesso a riflettere su aspetti maggiormente legati ai modelli educativi che inevitabilmente forniamo alle nuove generazioni, considerando che un valido processo di individuazione ( in altre parole la costruzione di una tua specifica identità), non può prescindere dall'avere contestualmente sperimentato una piena appartenenza al mondo nel quale viviamo.
Le due cose vanno necessariamente di pari passo, e senza l'appartenenza i processi di individuazione lasceranno spazio non tanto alla maturazione del singolo individuo ma semmai alla nascita di un nuovo individualismo, che per quanto possa avere una valenza protettiva inevitabilmente limiterà la nostra dimensione esperienziale, il nostro bagaglio di conoscenze, all'interno di una bolla che ci rassicura ma che rischia di condurci ad una vita asfittica e forse anche poco “vissuta”.
Cristiano Ceccarelli
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